Olio di palma: luci ed ombre su una questione controversa

Olio di palma: luci ed ombre su una questione controversa

Il mercato dell’olio di palma ha registrato negli ultimi decenni una considerevole espansione, e ad oggi la sua produzione copre circa il 35% del totale degli oli vegetali su scala mondiale, superando i 70 milioni di tonnellate l’anno. Le ragioni dell’affermazione di questo prodotto sono essenzialmente riconducibili alle sue caratteristiche chimico-fisiche, che lo rendono molto adatto all’impiego nell’industria alimentare, nonché alla sua economicità. Ma è proprio questo grande successo che ha reso l’olio di palma oggetto di particolari attenzioni da parte dell’opinione pubblica, puntualmente sfociate in polemiche di ogni sorta, dall’ambito medico-sanitario a quello etico. Dunque l’olio di palma nuoce alla salute? È prodotto in modo sostenibile, nel rispetto dell’ambiente e dei diritti umani? La rete offre un’ampia letteratura in merito, talvolta anche autorevole, ma quasi sempre difettante di una visione d’insieme. Posto che la complessità della questione rende impossibile giungere ad una sintesi univoca, il presente articolo si propone di colmare questa lacuna in modo chiaro e quanto più sintetico possibile.

L’olio di palma è estratto con metodi meccanici e/o chimici dai frutti della palma da olio (Elaeis guineensis Jacq.), pianta originaria dell’Africa equatoriale, coltivata nelle aree tropicali, caratterizzate da alte temperature ed abbondanti piogge ben distribuite durante l’anno. La produzione, per lo più concentrata in Indonesia e Malesia, è impiegata per circa tre quarti in ambito alimentare. Cina, India ed UE sono i principali importatori.

L’olio di palma grezzo, costituito nella quasi totalità da lipidi, si presenta solido a temperatura ambiente per l’alto contenuto di acidi grassi saturi, per lo più acido palmitico (C16:0), che ammontano a circa la metà del totale. Tanto per fare un paragone, il rapporto tra acidi grassi saturi ed insaturi è all’incirca di 1:4 nell’olio di oliva ed 1:6 in quello di girasole. Nonostante il nome, l’acido palmitico è presente in numerosi grassi e oli di diversa origine, oltre ad essere naturalmente sintetizzato a livello endogeno dall’organismo umano.

Se in Africa ed in Asia l’olio di palma è impiegato in prevalenza come condimento, nella UE è utilizzato esclusivamente nei processi di trasformazione alimentare per via di caratteristiche molto apprezzate nel settore: innanzitutto è insapore, quindi in grado di esaltare il gusto, conferire croccantezza o friabilità pur non alterando il sapore tipico dei vari cibi; in secondo luogo, proprio perché ricco di acidi grassi saturi, è molto resistente ai processi ossidativi, rendendo così i prodotti meno deperibili. In particolare questa caratteristica ha fatto sì che l’olio di palma sostituisse quasi integralmente i grassi idrogenati (o margarine), cioè grassi sottoposti a processi chimici volti ad aumentarne la serbevolezza. Infine il suo elevato punto di fumo (circa 230°C) lo rende molto adatto alla frittura.

Il largo utilizzo dell’olio di palma ha dunque sollevato una questione in merito alla salubrità del prodotto. Per cercare di venirne a capo si è fatto riferimento ad un rapporto del 2016 redatto dall’Istituto Superiore di Sanità basato sulla meta-analisi di autorevoli studi clinici condotti negli ultimi 20 anni.

Secondo l’ISS non esistono ad oggi evidenze scientifiche che l’olio di palma in sé sia dannoso per la salute, ed i sui eventuali effetti nocivi sono da imputarsi esclusivamente all’alto contenuto di acidi grassi saturi, notoriamente collegati all’incidenza di malattie cardiovascolari. In altre parole, non ci sono componenti specifiche dell’olio di palma che siano più pericolose per la salute di quanto non lo sia in generale qualsiasi altra fonte di acidi grassi saturi. In tal proposito anzi, lo stesso ISS lascia intendere che la sostituzione delle margarine con l’olio di palma sia da considerarsi positiva, per via della assodata insalubrità dei grassi idrogenati. Ciò non significa affatto che l’olio di palma non faccia male, quanto piuttosto che non fa più male di altri grassi di composizione simile.

La seconda questione riguarda gli aspetti etici della produzione. In questo caso si è fatto riferimento al rapporto Oil palm and biodiversity redatto dalla International Union for Conservation of Nature nel 2018.

La superficie occupata da piantagioni industriali di palma da olio ammontava ad ottobre 2017 a 18,7 milioni di ettari (area paragonabile all’intera Siria) e, sebbene non si disponga di dati relativi alle piantagioni condotte da piccoli proprietari, si stima anch’esse abbiano un’estensione significativa. Questa coltura è stata altamente competitiva nei confronti di foresta vergine, foresta gestita e torbiere, e la IUCN indica chiaramente che, seppur in misura inferiore che in passato, l’espansione della coltivazione è tuttora annoverabile tra le principali cause di deforestazione, legale o illegale, con tutti i problemi ad essa collegati, quali emissioni di gas serra, alterazione dei processi idrologici, distruzione degli habitat ecc.

Il caso del Borneo è emblematico: tra il 2005 ed il 2015 l’isola da sempre considerata il paradiso della biodiversità, un tempo quasi integralmente coperta da foresta pluviale, ha subito una contrazione di foreste pari a 4,2 milioni di ettari, dei quali circa la metà è stata rimpiazzata da piantagioni di palma da olio.

Ad aggravare la situazione, sempre in base a quanto rilevato dalla IUCN, gran parte delle coltivazioni è tuttora gestita con scarsa attenzione all’impatto ambientale.

Resa in olio di diverse colture. Adattato dal report IUCN.

A fronte di impatti tanto negativi è tuttavia doveroso sottolineare che l’olio di palma rappresenta una importante risorsa a garanzia della sicurezza alimentare. La domanda di oli vegetali quale fonte di cibo è destinata ad aumentare per via dell’incremento demografico mondiale, ed in tale contesto l’olio di palma sembra essere un candidato ideale per far fronte ai futuri bisogni dell’umanità. Quella della palma da olio è infatti una coltura altamente efficiente in termini di resa, tanto che a parità di superficie può produrre quantitativi di olio fino a 9 volte superiori rispetto ad altre colture quali ad esempio soia, colza o girasole. La coltura è inoltre meno esigente in termini di input produttivi, essendo per lo più non irrigua e necessitando mediamente di minori quantità di fertilizzanti e fitofarmaci rispetto ad altre colture. Proprio per questo, secondo la IUCN, il boicottaggio dell’olio di palma potrebbe avere effetti ancor più devastanti, a causa del concreto rischio di sostituzione della palma con altre colture a maggior impatto, spostando così il problema in altri ambiti e/o aree del pianeta.

Anche per quanto riguarda gli effetti della coltivazione di palma da olio sulle comunità locali la questione è molto controversa. Sebbene il report della IUCN non fornisca un analisi sistematica degli aspetti sociali, si riportano casi in cui i benefici economici derivanti dalla coltura non compensano le perdite dovute alla distruzione della foresta, fonte di acqua, cibo ed altri beni per svariate comunità. Si riportano inoltre sporadici casi di disagi sociali conseguenti a land grabbing nell’America Latina. D’altro canto però si mette in evidenza che in molti casi, soprattutto in Indonesia e Malesia, il settore dell’olio di palma rappresenta un’importante opportunità d’impiego e contribuisce allo sviluppo delle zone svantaggiate tramite la costruzione di infrastrutture.

In un simile contesto la ragione sembra suggerire che ad una condanna senza appello dell’olio di palma sia preferibile un’attivazione su tutti i fronti affinché la sua produzione diventi sostenibile, ad esempio non alimentando il mercato generato dalla deforestazione e/o dallo sfruttamento dei lavoratori. In tal proposito si fa presente che numerosi produttori si stanno adoperando per ottenere una certificazione di qualità, per quanto anche in questo caso siano stati sollevati dubbi in merito a possibili conflitti di interesse riguardanti i soggetti certificatori.

Le prospettive per una produzione sostenibile dell’olio di palma riguardano dunque una vasta platea di attori: dal legislatore, che dovrebbe incentivare una produzione a basso impatto, al mondo della ricerca, che dovrebbe indirizzare i propri sforzi nel potenziamento dell’efficienza produttiva, ai consumatori, che con un atteggiamento responsabile possono indirizzare il mercato. Con riferimento a questi ultimi, nel pieno rispetto dello spirito di TAT, ci permettiamo di suggerire che, al di là delle personali convinzioni, limitare il consumo di grassi, così come quello di proteine animali, è sempre cosa auspicabile.

Recco

I am an agronomist. I am editor for The Anthropic Times.

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